mercoledì 26 aprile 2017

The end


Ho lasciato trascorrere qualche settimana per concludere questo capitolo. Perchè di capitolo si tratta e non potrebbe essere diversamente. Dal 2 aprile sono ritornato a "casa", a Cuneo. Ho ritrovato tutto come lo avevo lasciato. La mia famiglia, il mio appartamento, il mio cane, gli amici, i colleghi, la mia città e il mio paese. A volte, in viaggio, pensavo a cosa avrei rivisto al mio rientro. Quasi pensassi ad uno scenario post-guerra nucleare. Ma sapevo benissimo che questi 300 giorni sarebbero passati solo per me, in fondo. Ed il perchè mi è ben chiaro. Non è nient'altro che la teoria della relatività. Da punti diversi si percepisce un diverso scorrere del tempo (semplificando, mi raccomando, Einstein). Certo, sono di nuovo nella mia provincia. Ed allora qualche rotonda e qualche strada nuova sono spuntate, siamo famosi per questo noi cuneesi, ma a parte ciò è cambiata solamente la mia prospettiva. La mia percezione di osservare le cose. E cosa c'è di più importante del come riusciamo a rapportarci con ciò che ci circonda? Prendermi del tempo per guardare il tramonto dal mio balcone sulle Alpi ancora innevate. Era sempre stato lì, è sempre lì, tutte le sere, quasi sempre alla stessa ora. Basta guardare. Ma già che di cambiamento sto parlando ci tengo a fare una precisazione. Assolutamente non sono cambiato in nulla. Non sono neanche partito per "cambiare". Sarebbe stato un paradosso. Non sarei salito su quell'aereo in direzione Ecuador non fossi stato quello che sono. Perchè cambiare allora? Forse mi sono arricchito, forse mi sono confermato. La vita è fatta di piccole deviazioni che portano in una direzione ben precisa, ma anche quelle vecchie, che a fatica ricordiamo, sono tutti sentieri presi perchè li dovevamo prendere per forza. L'importante è andare avanti su questa strada. E poi, per dirla tutta, se parti "pirla" non torni che sei Terzani.
Ora, già che questo è l'ultimo post di questo blog in attesa del prossimo sito che aprirà tra un po di tempo, volevo condividere ciò che sono stati questi mesi di viaggio per me e per voi che mi avete seguito. Otto paesi vissuti più il nono, il Brasile, di passaggio. Più di 32000 km via terra. Quasi 2750 km a piedi. 13 frontiere attraversate. Pullman, "collectivos", bus urbani, bus extra-urbani, moto, scooter, tuc-tuc, battelli, navi, barche a remi, "lancia" a motore, canoe, auto, fuoristrada, jeep, taxi, uber, aerei, aerei biposto, treni, metro, cabine teleferiche ed anche un po di buon sano autostop sudamericano. 2 zaini diventati la mia casa. 3 cappelli e 3 paia di scarpe. Ho dormito in ostelli, amache, camping, tende, couchsurfing, alberghi, terminal di autobus e 30 notti passate su vari mezzi. Sempre e solo una schiena. Un giorno di febbre ed un solo episodio di furto. 2 delle 7 meraviglie del mondo moderno, Machu Picchu e il Cristo Redentor di Rio de Janeiro. 1 delle 7 meraviglie del mondo naturale, Iguazu. Ho avuto la fortuna di attraversare o anche solo osservare deserti, vulcani, la totalità delle Ande, foreste, ghiacciai, la giungla, 2 Oceani, spiagge, il Mar dei Caraibi, grandi metropoli e lande desolate, rovine Inca e pre-incaiche, laghi e lagune, valli incantate, cascate imponenti, parchi naturali e biosfere, fiumi, una serie infinita di Patrimoni dell'Unesco e due delle strade più leggendarie al mondo, la Panamericana e la Ruta 40. Ho affrontato 23 trekking raggiungendo 9 vette tra i 3000 e i 5000 metri di altitudine. Ho incontrato gente da ogni parte del globo, amici ed amiche che hanno arricchito quest'esperienza. Ho riscoperto che l'amore è pura passione da bruciare e ricercare negli occhi sognanti di una ragazza incontrata per caso. Ho apprezzato la cultura Quechua, Aymara e Guaranì tra la miriade di etnie che popolano queste terre antiche. Ho capito che la musica, la meditazione e la lettura sono fondamentali per migliorare la qualità della vita. Ho capito che il tempo è tutto.
L'esperienza migliore potessi regalare alla mia vita.
Ed ora "always chase your dream" si ritira per diventare una parte del nuovo blog, qualche mese di pausa in cui tornerò alla vecchia vita, ma in cui mi dedicherò anche a portare avanti questa nuova, di vita. In attesa della prossima meta perchè, se vi ricordate bene cosa scrissi nel primo post di presentazione ... "L'importante è che a ogni ritorno io pensassi sempre ad una nuova partenza."

sabato 15 aprile 2017

Come concludere in bellezza


Lascio Medellin sabato mattina con un bus diretto a Salento. Inizia ufficialmente l'ultima settimana di viaggio. Ma come meglio non potessi fare mi sono lasciato uno dei luoghi più incredibili della Colombia per ultimo. Il meteo non è il massimo ed arrivo in questo piccolo villaggio nel centro del paese accolto da nuvole cariche di pioggia che da lì a qualche giorno avrebbero devastato il sud della regione. Su consiglio di un viaggiatore incontrato a Santa Marta vado diretto in un ostello leggermente fuori città e posizionato più in alto rispetto agli altri. La vista di cui si gode è a 360° su tutto ciò che mi circonda, ovvero colline e rilievi verdissimi che si perdono all'infinito. Questa è la zona "cafetera". Vanto ed orgoglio della Colombia, primo produttore al mondo di caffè.
Dopo una domenica passata al caldo dentro l'ostello per via del brutto tempo, decido allora di visitare una "finca", un'azienda dedita alla coltivazione ed alla  lavorazione di questa pianta bevuta in tutto il globo. Dall'ostello mi incammino in discesa nella valle. Il sentiero è piacevole. Mi ricorda le strade di campagne dei dintorni della mia città in Italia quando ero piccolo. Asfalto e sterrato che si alternano, staccionate in legno a delimitare la strada, qualche fattoria e spazi aperti a far godere la vista. Dopo un'ora raggiungo la mia destinazione, la finca Ocaso. Qua organizzano tour di un'ora al prezzo di poco più 6€. Una simpatica guida ci ha mostrato tutte le fasi del raccolto e della tostatura e poi abbiamo concluso con una moka di caffè ancora da impacchettare. Giustamente finito il tutto le nuvole decidono di scatenarsi. Nel tour eravamo in dodici e nessuno aveva intenzione di tornare a Salento a piedi. Unico problema, non così rilevante. Una sola jeep. Ma siamo in sud America. Per i pesos si fa tutto. Due davanti oltre il guidatore, sei dietro e quattro in piedi sul paraurti. Scontato dove fossi finito. Comunque è stato un bel viaggio tra diluvio universale e rami da evitare per non essere decapitato.
Il giorno dopo decido, anche se il tempo era pessimo, di raggiungere l'altra meta imprescindibile se si visita questa parte di Colombia. La Valle de Cocora. Nella piazza centrale di Salento dalle sette del mattino partono camionette dirette all'entrata del parco. Io me la prendo con comodo e prendo quella delle nove. Mezz'ora di strada e arrivo all'ingresso. Qua si possono scegliere due direzioni di un trek circolare attorno alla valle ed ai suoi rilievi. Io scelgo di partire verso destra. Il sentiero è pesantissimo ed infatti dopo qualche minuto ho fango fino alle ginocchia. Il terreno rende la salita una lotta e l'umidità della foresta è allucinante, ma tutto è compensato dal paesaggio che mi circonda. Una prima parte di verdi prati con animali al pascolo e poi il sentiero che entra dentro alla "selva" e segue un piccolo fiume con una miriade di piccole cascate. L'ideale per buttare la testa in cerca di fresco. Dopo due ore seguo una deviazione che mi porta ad uno dei punti di sosta del trek. Dalla cima però la vista appaga la fatica. Sembra un paesaggio degno di Pandora. Le nuvole basse che lasciano intravvedere i profili delle montagne, il sole che cerca di farsi largo nel cielo grigio. E poi, le sagome delle palme più alte al mondo. Le palme da cera simbolo della Colombia. Un altro dipinto che si fissa nella mia mente. Un'altra opera della natura che non si può far altro che ammirare in silenzio. Decido allora che è un momento a cui dedicare del tempo. So che è l'ultimo, per ora, che guarderò in Sud America. Mi siedo su un cumulo di terra. La pioggia non la sento più. Immagino di stappare una buona bottiglia. Guardo questo spettacolo e inizio a pensare di quanto sono stati incredibili questi mesi. Di quanto sono stato e sono fortunato. Di quanto sia stata la decisione più giusta potessi prendere, di partire con un volo sola andata verso l'Ecuador il 6 giugno di un anno fa. Qualsiasi cosa potrebbe accadere in futuro.
L'ultimo giorno lo passo nel paese. Salento è coloratissima come tutti i villaggi colombiani. Turistica ma piacevole, con un mirador da cui ammirare le sue vie principali e la piazza centrale.
Il giovedì decido di raggiungere Bogotà. "Collectivo" fino ad Armenia e da qua 7 ore di bus fino alla capitale. Mi concedo il primo hotel vicino all'aeroporto vista la partenza di notte verso l'Italia. Vedo così anche un nuovo quartiere dopo il centro e la Calendaria visitati un mese fa. La notte però non dormo niente. Un po per l'agitazione da ultimo giorno e un po perchè sono riuscito a bloccare una tratta assurda. Economica quanto volete ma massacrante tra scali e fuso orario. Bogotà-Orlando, 4 ore, Orlando-Manchester, 2 ore, Manchester-Milano. Più di un giorno di viaggio per ritornare a casa.
Ed allora si colclude questa "avventura",  quest'esperienza di vita, questo capitolo unico. Per i titoli di coda però, tranquilli, che di tempo ce n'è ancora!

mercoledì 5 aprile 2017

Medellin


Dopo la Guajira decido di raggiungere Medellín. Prendo un bus notturno che in 15 ore mi porta nella capitale del departamento di Antiochia. La partenza è Maicao. L'ultima città prima della frontiera col Venezuela. Mi ricorderò di questo luogo per una sola cosa. La benzina. Tutto gira intorno a questo commercio. Ma proprio tutto e ... tutti. Dai ragazzini ai più anziani ed anche le donne gestiscono un'attività di vendita di oro nero. Lo comprano ad un prezzo irrisorio in Venezuela, passano il confine senza problemi e lo rivendono in Colombia. L'odore che si respira nelle strade polverose di questo porto all'estremo nord è allucinante, solo a fumare una sigaretta mi viene il timore di far saltare in aria qualcuno. Dimentico in fretta Maicao e dopo una notte passata in bus arrivo a Medellín. È la seconda città più importante del paese. Si sta pian piano trasformando in una metropoli moderna conservando comunque un centro storico caotico tipico del Sud America. Tutto gira attorno al Parque Berrio da dove si può raggiungere la Plaza Botero, una collezione d'arte a cielo aperto con molte sculture dell'artista simbolo culturale del paese. Bello anche il museo di Antiochia con molte sale temporanee che spaziano dall'arte moderna ai reperti delle culture pre ispaniche. Però, per capire al meglio la storia della città e la sua regione, a cui non si può evitare di dedicare qualche ora di visita, è quello della Memoria. Un'esperienza che consiglio a chiunque passi da questa città. Tra FARC, M19 ecc ed il cartello della droga creato da Pablo Escobar le vittime e i "desaparecidos" sono decine se non centinaia di migliaia in tutta la Colombia e Medellín era, in parte lo è ancora, uno dei punti nevralgici. Estremisti di destra, di sinistra, guerriglieri di varie fazioni, politici corrotti e poliziotti non da meno, esercito con brama di potere e Narcos hanno caratterizzato la storia recente dei "cafeteros" riducendo il paese in ginocchio. Ora i gruppi si sono trasformati in agnellini nascondendo i veri lupi, i traffici avvengono senza la luce dei riflettori e senza miticizzare i leader, seppur, ascoltando la gente, sembra che poco sia cambiato. Si inneggia al progresso però la corruzione dilaga, si lavora per un processo di pace eppure gli attentati avvengono ancora, non si parla più di Cartello di Medellín e comunque la coca è più facile da reperire di una bottiglietta d'acqua. Questo museo centra in pieno il suo intento. Ricordare per non dimenticare. Educare per non ripetere certi errori. Medellín e la Colombia stanno cercando di ribellarsi a chi ha tirato le redini per anni. Come dicevo non è tutto rosa e fiori ma è evidente lo sforzo di migliorare la situazione. Situazione che è in parte nascosta dal crescente benessere dei suoi abitanti e degli stranieri che stanno decidendo di stabilirsi in questa città con i loro investimenti. La zona rosa tra cui il quartiere Poblado ne è un esempio. Qua si concentra la "movida" antioqueña con bar e ristoranti per tutte le tasche.
Dopo i primi due giorni passati in ostello contatto un amico con cui frequentavo il liceo che da un paio di anni si è trasferito in questa città. Gestisce un ristorante con cucina italiana e colombiana in bell'edificio. La sera allora mi invita a mangiare spiegandomi le sue idee sul locale e raccontandomi su come ha iniziato. Ci eravamo persi fin dai tempi dell'università e quindi le storie da raccontare certo non potevano mancare.
In questi mesi ho incontrato veramente molte persone, di ogni età e da ogni parte del mondo, chiunque aveva un obiettivo ben chiaro da raggiungere. Chi lo stava perseguendo, chi lo aveva già raggiunto e poteva raccontarlo e chi anche solo lo aveva pensato la notte stessa. Una positività che non potevo lasciare al caso indifferentemente. E così è stato anche con il mio amico ritrovato, i suoi coinquilini e la sua ragazza.
Martedì decido di visitare uno dei luoghi più caratteristici nei dintorni di Medellin, Guatapè. Un piccolo villaggio molto colorato in mezzo ad una serie infinita di laghi artificiali creatisi dopo la costruzione di una diga. Prendo un bus dal Terminal Norte e in un'ora mi faccio lasciare all'inizio della camminata verso la Piedra del Peñol. Una roccia che spicca sulla pianura allagata sottostante da cui, una volta scalata con i suoi 700 scalini, si può godere di una vista spettacolare a 360°. Mangio pranzo in un ristorantino col piatto tipico di questa terra, la Bandeja Paisa con riso, maiale, fagioli, uovo, platano ecc ecc. L'ideale per un pranzo leggero!
Dopo qualche giorno passato in città decido che è ora di raggiungere l'ultima località del viaggio di 300 giorni in Sud America. Domani raggiungerò Armenia e da lì Salento. Entrerò nella valle del Caffè.

martedì 28 marzo 2017

Ai confini del continente latino. La Guajira


Ci sono stati viaggi nel viaggio in questi mesi. Momenti che più di altri hanno caratterizzato il mio "on the road" in Sud America. A volte ho raggiunto luoghi che mai avevo sentito parlare semplicemente seguendo il primo sconosciuto incontrato in ostello oppure qualche pazzo blogger che di vagabondare ne sa certamente più che la Lonely Planet, altre fissandomi nella testa che dovevo raggiungere Quel posto solo perché rappresentava un "lontano". La voglia di arrivare ad un estremo. Terminare la Panamericana, vedere l'ultimo tratto delle Ande, fissare con gli occhi il punto più a sud del continente. È proprio per questo, ora, fare altrettanto con quello più a nord. Sapendo poi che non è facilissimo arrivarci ed è uno dei paesaggi più unici al mondo non posso neanche per sogno rischiare di perdermelo. Punta Gallinas.
Parto da Minca di buon ora con una camionetta. Raggiungo il mercato di Santa Marta e prelevo un po' di liquidi per i prossimi giorni perché sarà impossibile recuperarli da qui in avanti. Prendo un taxi che mi porta un po' fuori città. Uno spiazzo della circonvallazione da cui partono i bus con direzione Mincao. Puntualizzo. È da una settimana che cerco informazioni per sapere come arrivare alla mia destinazione e vi assicuro che nessuno è riuscito a darmi la stessa risposta, conosco i nomi di tutte le città della Guajira come se fossero eroi mitologici ora. Salgo sul bus e faccio presente all'autista il posto dove voglio andare. "Tranquillo ti avverto io". Passano 5 ore. Passiamo Palomino e la sua spiaggia dove ci fermiamo per pranzo e poi Rioacha, la città più grande della regione. Da lì inizia la dritta statale per Mincao. A 3/4 il bus ferma e mi fa scendere. Il posto si chiama Quatros Vías perché è l'unico incrocio per Uribia. Qui devo aspettare non che passi un bus, ma un po' di gente per riempire la macchina. Faccio due parole con i ragazzi che gestiscono le "tiendas", quasi tutti venezuelani. Parlando con uno viene fuori che a quest'ora del pomeriggio è quasi impossibile che si fermi qualcuno che vada dalla mia parte. Soluzione. Pesos. Non è bello ma il denaro risolve sempre tutto da queste parti e poi una notte nella città al confine col Venezuela non la voglio passare. Contratto per una decina di € circa e partiamo. Un'ora e arrivo a Uribia, capitale indigena della Guajira. Altro incrocio, altra camionetta da riempire. Qua però c'è più movimento. Trovo 4 ragazzi argentini. Ricordate che vi avevo scritto che bisogna imparare dagli argentini per viaggiare risparmiando. Bene. In quattro occupano solo due posti perché si sistemano nel retro con gli zaini. Mancano quindi 3 persone. Passa un'ora e ne arriva una. In 10 mesi avrò incontrato 5/6 italiani. Nel posto più assurdo ne aggiungo un'altro! Altra per l'esattezza. Chiara che sta facendo un master qua in Colombia. Incredibile. Ci parliamo un'attimo e decidiamo di pagare le due quote mancanti. Si sta facendo notte. Partiamo finalmente per Cabo de la Vela. Il paesaggio è deserto puro. Landa piatta e infinita che con i colori del tramonto prende vita. Durante il viaggio l'autista mi propone il passaggio per Punta Gallinas. A me un prezzo e alla ragazza un altro. Pure per l'ultimo tratto in jeep si è fatto pagare in modo diverso. Sono stanco e non ho voglia di discutere. Ci accordiamo comunque per il tour con partenza all'alba. Dormiamo in due amache in fronte al mare, inizio ad abituarmi a questo nuovo letto. Alle 5 la sveglia e si parte. Oltre a noi ci sono una coppia belga e una ragazza francese. Impieghiamo più o meno 4 ore su una strada che è poco più di un sentiero nel deserto, dossi come voragini, posti di blocco dei bambini che chiedono qualche moneta in cambio del passaggio e una colazione con arepas e caffè. Arriviamo sul bordo di quello che sembra un fiume ma è solo un'insenatura del mare. Piccolo tratto in barca e finalmente arriviamo al camping finale. Adoro questi viaggi dove bisogna imporsi solo una regola. Andare avanti. Qua mi impossesso della mia solita amaca e incontro per caso Rakel, la ragazza con cui avevo trascorso i due giorni nel Tayrona. Punta Gallinas non è un villaggio, c'è solo la nostra struttura e qualche sperduto accampamento di indigeni distanti vari chilometri e nulla più. Elettricità cotrollata, servizio di ristorazione a base di pollo o pesce e niente acqua. Di contro natura, silenzio e un cielo stellato abbagliante. Non c'è bisogno di altro. Riposiamo un'ora e partiamo per quello che è il vero tour. Un mirador sulla valle desertica e uno sull'oceano dove c'è un faro abbandonato. Sembra più un'antenna della TV ma poco importa. Per la sua posizione rimane unico, è il punto più a nord di tutta l'America Latina. L'ultima tappa poi è dove il respiro si ferma tanto è incredibile ciò che si presenta davanti a noi. Un'enorme duna di sabbia da scalare. Puro deserto e ai suoi piedi la potenza del mare dell'Atlantico. Nessun segno di civiltà. Solo noi a buttarci giù nell'arena come fossimo nel mezzo del Sahara ed arrivare a tuffarci nel verdeblu dell'acqua. È l'Oceano ma è pur sempre parte del Mar dei Caraibi. Non ci penso due volte e mi lancio nelle acque agitate e poi mi isolo una ventina di minuti. Non ne sono in grado ma ho sentito il bisogno di meditare. Di ascoltare per qualche istante solo l'energia di ciò che mi stava attorno. Un momento bellissimo. Tornati alla base decido di andare alla spiaggia vicina per il tramonto. Beh. Ne ho visti molti in questi mesi. Sempre è magia pura. Questo però non ha barriere visive. Lo si può godere nella sua totalità. Ma la bellezza di un tramonto per me è quando il sole scompare. È li che esplodono i colori. È li che le imperfezioni delle nuvole che quasi hanno ostacolato la discesa dell'unico Dio che dovremo adorare diventano parte di un quadro unico. La sera ritorniamo tutti al camping e dopo una cena semplice e qualche birra partono i racconti delle nostre vite. Racconti che in queste realtà al confine del mondo acquistano un significato più profondo e perfetto da condividere con gli amici del caso. Con Rakel si istaura un buon feeling e ci diamo un'ipotetico appuntamento per quando torneremo in Europa. Continuo a credere che tutte le persone che ho incontrato siano anch'esse parte del viaggio. Due modi di viaggiare. Uno segnato dalla realtà ed uno scandito dal destino.

lunedì 27 marzo 2017

Ritorno nella giungla


Terminata l'esperienza nel parco di Tayrona ritorno a Santa Marta con un bus di linea che percorre tutta la statale. A destinazione raggiungo l'ostello da dove ero partito e riprendo lo zaino grande. Saluto i gentilissimi ragazzi che lavorano lì e mi dirigo verso la zona del mercato dove aspetto il collegamento per Minca. Iniziano i miei spostamenti in Jeep stracariche che caratterizzeranno i prossimi giorni. Zaini sul tetto legati alla buona e noi stipati all'interno come sardine. I chilometri che separano Minca da Santa Marta sono appena venti ma impieghiamo quasi un'ora su una strada tutta curve che continua a salire in mezzo alle montagne. Il panorama cambia totalmente. Da qua inizia la giungla con le sue sfumature verdi, ma la costa oceanica blu acceso rimane ben visibile dall'alto, in più, non ci fossero sempre nuvole minacciose si vedrebbero alcune montagne innevate sullo sfondo. Un panorama unico. Minca è un villaggio piccolissimo. Colorato e un po' hippie. Gli ostelli, i caffè che vendono prodotti bio, i negozi di artigianato e qualche venditore di "arepas" creano un'atmosfera piacevole e spensierata. Questo paese è la base per partire alla volta della Ciutad Perdida. Un sito archeologico pre ispanico rimasto nascosto nella selva fino alla seconda metà del 900. Alimentando il  mito di Eldorado. Il trek sarebbe interessante anche per via del paesaggio senza eguali però un po' per il tempo, minimo quattro giorni di cammino, un po' per il costo, 300€, decido che non s'ha da fare. Purtroppo. Starò 300 giorni in questo continente e probabilmente non basterebbe il doppio dei giorni per completare tutte le caselle vuote che mi sono lasciato indietro. Decido comunque di dedicare un giorno intero alla valle dormendo due notti in uno splendido ostello leggermente spostato più in alto rispetto al villaggio da cui godo di una vista incredibile fino al mare dell'oceano. Chiedo a Juan, il proprietario, cosa fare in una giornata piena e mi consiglia il "loop", una camminata circolare di otto ore attraverso le colline attorno. Il tempo non mi è favorevole, minaccia pioggia fin dal mattino. Mi preparo comunque per il peggio con kerway, coprizaino e scarpe da trekking e mi incammino. Sarà anche nuvoloso, minaccerà pure un diluvio universale ma il caldo-umido si sente eccome. Dopo un chilometro sono sudato all'inverosimile. Partendo dalla parte destra di Minca arrivo prima alla cascata meno conosciuta, ma forse la più bella e la più tranquilla, Marinka. Mi riposo mangiando qualcosa al fresco del suo scorrere e scatto qualche foto. Niente bagno perché di strada ne fare ancora il giusto. Dopo la sosta inizia il pezzo più duro anche perché decido di abbandonare la strada principale per prendere il sentiero in mezzo alla vegetazione, consigliatomi dal gestore del l'ostello. A volte ho la netta sensazione di seguire percorsi del tutto sbagliati ma mi dico che ormai devo proseguire perché tornare indietro vorrebbe dire abbandonare il trek. Il dubbio più grande mi viene quando mi trovo la strada sbarrata da un filo spinato che si perde negli arbusti vicini. Ora. Violare una proprietà private non è mai una cosa saggia a fare, anche con le più buone intenzioni che uno possa avere. Poi sapendo che mi trovo in Colombia, Pablo l'hanno ucciso 25 anni fa ma non è che sia tutto rosa e fiori da queste parti, penso che forse è il momento giusto per rinunciare. Però noto che la staccionata la si può spostare senza rimanerci impagliato e decido che posso proseguire. Un paio di chilometri e scorgo finalmente un cartello con l'indicazione per dove voglio andare. Ma perché ca..o hanno dovuto mettere un filo spinato in mezzo al nulla! Nel cammino incontro appena due ragazzi che stanno scendendo e per il resto silenzio. Il silenzio assordante della natura. L'ultimo pezzo è devastante e il caldo mi rallenta notevolmente. Non sono mai stato così felice di ricevermi un'acquazzone in pieno. Tolgo tutto ciò che si potrebbe rovinare e lo metto al sicuro nello zaino. Niente keeway, doccia rinfrescante gratis e al momento giusto. Rigenerato raggiungo il mirador Los Pinos, il punto panoramico che sovrasta Minca e da dove godere di una vista a 360 gradi sulle valli. Peccato che le nuvole che mi hanno salvato prima ora non mi permettono di vedere a cinque metri. C'è un punto di ristoro dove potersi anche accampare e decido di bere un caffè aspettando un'evoluzione positiva del meteo. Nada. Non si può mica pretendere tutto. Da lì inizio la discesa, quattro ore di discesa con due deviazioni. La prima è verso una "finca" di caffè, un dei luoghi più rappresentativi della Colombia dove ti mostrano come avviene la lavorazione del secondo prodotto più esportato del paese (vi lascio immaginare il primo). Qua però mi ritrovo un mini birrificio artigianale. C'è un po' più di movimento di turisti e tutti vanno verso la zona caffè, io ovviamente per questioni affettive provo ad entrare nell'ambiente più familiare a me. Faccio due domande ai tipi fuori che mi dicono di aspettare il mastro birraio. Ne assaggio una con loro ma poi il capo non si fa vedere e decido di proseguire. La seconda sosta è la cascata Pozo Azul. Una serie di piscine naturali bellissime immerse nella giungla. La pioggia mi da tregua ed allora passo una mezz'ora coi piedi a mollo per rigenerarmi. Visto il tempo c'è poca gente e si gode di una pace totale. Da lì ho ancora un'ora di strada e per evitare il buio affretto il passo. Arrivo in ostello distrutto ma soddisfatto. Erano mesi che non camminavo una giornata intera e quasi mi mancava questa sensazione. Se tutto va bene ce ne sarà ancora una prima del rientro in Italia. Se avevo contato bene dovrei arrivare a venti trekking totali, considerando che alcuni sono durati più di un giorno vuol dire quasi un mese di cammino. Non male per uno che, prima di questo viaggio, prendeva la macchina anche solo per raggiungere la panettiera in fondo alla strada dove abitavo.

domenica 26 marzo 2017

Parque de Tayrona


Più o meno tutti quelli a cui dicevo di voler finire il mio viaggio in Colombia mi dicevano "Non puoi non passare dal Parque de Tayrona!", Ed allora eccomi in partenza verso Santa Marta. Da Cartagena sono appena 4 ore di bus. La città onestamente non è niente di che però è una base perfetta per muoversi un po' in tutte le direzioni. In pochi chilometri che però, visto che siamo sempre in Sud America, si tramutano in minimo un'ora di viaggio (come una tariffa minima) si possono raggiungere una miriade di luoghi incredibili. Si ci può spostare nell'entroterra ed entrare nella selva nello splendido villaggio di Minca da cui iniziare un trek di 4/5 giorni per raggiungere la Ciutad Perdida oppure anche solo qualche bella camminata in montagna in cerca di cascate. Se invece preferite spiagge e mare in un paesaggio semi vergine si inizia con Taganga leggermente più a nord di Santa Marta e da qui raggiungere la Bahia de Concha. Oppure, come ho fatto io, per questioni di tempo raggiungere Zaino sulla statale che porta a Palomino. Qua si paga l'entrata nel parco al costo di una quindicina di euro. Un mini bus mi evita il primo tratto di strada asfaltata e mi porta direttamente all'inizio del sentiero. La camminata dura un'ora ed è uno spettacolo della natura. Cammino nel caldo umido della selva tropicale ed ogni tanto si intravede l'oceano dai colori caraibici spuntare tra rocce e palme. Arrivo al primo villaggio e decido di trovarmi una sistemazione. Il camping più economico è a 15000 pesos per un'amaca, 5€. Me ne impossesso di una mollando lo zaino e decido di raggiungere immediatamente la spiaggia. Altri venti minuti di cammino nella foresta dove riesco a vedere piccole scimmie sugli alberi e raggiungo Arenilla prima e Piscina dopo. Sono due insenature di sabbia bianca, mare azzurro e il verde della giungla alle spalle. Gente ce n'è ma si riesce a godere della tranquillità e della pace di questo luogo protetto e preservato dalle masse di turisti. La sera conosco una vicina di amaca. Rakel, francese di Lione. Come me si è portata un po' di cibo per evitare i prezzi assurdi del ristorante del camping. Decidiamo allora di sfruttare la cucina in comune che non è altro che una grande pietra su cui poter accendere un fuoco. Conosciamo un gruppo di argentini e ci uniamo nella preparazione della cena. Volete imparare a viaggiare con poco? Volete impostare una vita semplice e godere solo di quello propone l'oggi senza pensare troppo al domani? State con gli argentini. Si comparte tutto. Ci si aiuta in tutto. Noi prepariamo del riso, della mia amica, con le mie latte di tonno e chili e loro una zuppa con quello che hanno trovato nella foresta. La serata passa tra racconti di viaggi ed esperienze e si crea una bella armonia. Il giorno dopo avremo potuto cambiare villaggio, ma vista la Buena Onda e il prezzo di questa sistemazione decidiamo di stare un'altra notte e muoverci di giorno. Dalla nostra base si può raggiungere Cabo San Juan in poco più un'ora. Il simbolo del parco. Io opto per questa scelta mentre la mia amica decide di raggiungere un piccolo accampamento indigeno nelle colline. Cabo San Juan è un po' più turistico ma sempre limitato all'esigenza del parco. La spiaggia è un po' più affollata delle altre, ma dalla capanna in legno col tetto in paglia si può scorgere tutta la meraviglia di questo litorale. Per sfruttare quest'energia preferisco però muovermi ancora e raggiungere le due lingue di sabbia a sud praticamente desertiche. La sera ci ritroviamo tutti di nuovo attorno alla cucina improvvisata e dopo aver migliorato notevolmente l'accensione del fuoco ci perdiamo di nuovo in discorsi sulle prossime tappe e sulle nostre vite future. Sono questi i momenti che mi mancheranno di più. Momenti passati con perfetti sconosciuti e sconosciute sentendo un'affinità come fossimo amici di lunga data. Ci ho pensato a lungo. Non è una mancanza di relazioni dovuta ai mesi di viaggio in solitaria. È semplicemente un maggiore interesse e una più grande similarità in ciò che siamo in quel momento e in ciò che pensiamo rispetto alle persone con cui abbiamo condiviso la vita nelle nostre terre d'origine. Tutti vagabondi che hanno deciso di lasciarsi indietro falsi problemi e false preoccupazioni dovute alla statica quotidianità e che invece hanno pensato di prendere la vita di petto con tutto ciò che può portare senza pensare troppo. Un campeggio di tende e amache, la natura che ci circonda con il suo silenzio, la notte buia illuminata dalla luna piena, il fuoco acceso per prepare la più semplice delle cene sono lo sfondo ideale per far viaggiare le nostre menti verso i lidi più puri e i sogni più forti che abbiamo mai fatto. Questo per me è stato il Tayrona. Due giorni e due notti incredibili che mi hanno fatto tornare a godere del viaggio come se fossi appena partito. La mattina del terzo giorno condivido il ritorno ancora con la ragazza francese. Lei andrà a Palomino mentre io tornerò a Santa Marta a prendermi lo zaino grande in ostello e raggiungerò Minca per una sosta di due notti nelle montagne. Inizio a capire la bellezza di questo paese bellissimo che è la Colombia.

giovedì 23 marzo 2017

San Andres, disfruta el Caribe


San Andres è un'isola al largo del Nicaragua ma di territorio colombiano. Un atollo di 15km per 7 nel mezzo del mar dei Caraibi. Si raggiunge con un volo di poco più di un'ora da Cartagena. Decido di volare solo con bagaglio a mano e il biglietto mi costa appena 60$ andata e ritorno. Trovo anche un ostello a 15 a notte. Un ottimo prezzo per una località super turistica. L'isola presenta due coste ben distinte. Quella est con spiagge bianche e mare paradisiaco è quella ovest più rocciosa e adatta allo snorkeling e scuba diving.
Per me il Caribe è un ritorno al passato. Sono sempre stato attratto da tutto quello che rappresenta. Luoghi incontaminati che riportano a vecchie storie di rhum e pirati. Musica, colori e profumi e gente  fantastica. Il Caribe autentico, non quello dei villaggi turistici, la piaga dei viaggiatori. Anche a San Andres ricerco queste caratteristiche camminando per l'unica strada che va da nord a sud. Attraverso i villaggi più poveri, nascosti dalla fatiscente città principale dove stanno sorgendo palazzoni orribili favoriti dal crescente afflusso di gente. Osservo le baracche con galline che svolazzano fino alla strada, donne robuste in vestiti colorati a gestire banchetti di frutta e pesci improvvisati e uomini che giocano a domino fumando marihuana all'ombra di un albero. Loro che erano i veri abitanti, seppur importati nei secoli infami, hanno dovuto spostarsi per lasciare spazio ad alberghi e Duty Free ed ora fungono da attrazione per chi decide di percorrere l'isola in caddy, una sorta di triste Safari. A me interessa solo camminare per raggiungere le spiagge tranquille a sud, ventose e semi desertiche. Mi concedo solo un tour in barca perché è l'unica possibilità per vedere Jhonny Cay e l'"Acuario", due atolli poco al largo della costa, situati proprio a cavallo della barriera corallina. Qua il mare immacolato, la sagoma di alte palme, il nuotare con pesci colorati e grandi mante mi fanno dimenticare la miriade di gente con cui divido questa splendida giornata.
Come dicevo prima però per me questo è amarcord. Sapevo che nel mio viaggio c'era la volontà di tornare in questi posti. Perché è in questo mare che mi si impianto' un picchio in testa che, con qualche rara pausa, mi ricordava due parole. Sud America. Erano i primi anni in cui lavoravo e in due estati fui, prima, a Cuba e, molto più decisiva, la seconda volta in cui raggiunsi un arcipelago non molto noto chiamato St Vincent & Grenadine. Una settimana passata immerso alla natura ospite di una ragazza boliviana conosciuta tramite couchsurfing. In questa realtà avevo conosciuto i suoi collaboratori che provenivano da tutti i paesi del continente latino. Ecuador, Bolivia, Brasile, Argentina ecc. Passavano le serate a raccontarmi dei loro paesi e di tutto ciò che è, allo stesso tempo, fantastico e triste di questa terra. Erano ancora tempi in cui il Wi-Fi era semi sconosciuto e le serate erano composte da ore interminabili a parlare al chiaro della Luna sdraiati sulla collina poco distante dal campo base circondati dalla foresta tropicale. Non come ora dove bisogna imporsi di allontanare quest'aggeggio per ritornare a fare due parole in compagnia. Laggiù era automatico. Quella persone, quelle storie, quelle emozioni sapevo che, prima o poi, sarei andato a ricercarle. In più, tornato da quell'esperienza mi ricordo che preparai un viaggio di venti giorni in Perù per la vacanza successiva. Poi entrò nella mia vita una ragazza, un lavoro nuovo e tutto andò in dimenticatoio. Ma quel picchio lo custodivo gelosamente. Sapevo che dovevo ritornarci, chiudere un cerchio e ringraziare questa terra che senza di essa probabilmente non avrei mai trovato ispirazione per questo viaggio.
Soddisfatto di tre giorni di pura vacanza ritorno a Cartagena. Una notte per risistemarmi gli zaini e parto alla volta di Santa Marta. Prima tappa verso strada che mi porterà all'estremo nord della Colombia!