Il primo è lo scorrere della vita quotidiana di Quito. Ogni giorno di questa settimana ho passato almeno un'ora seduto su una panchina della Plaza Grande ad osservare la gente. Ho assistito ad un concerto di una cantante popolare, ho guardato lo svolgersi di balli tradizionali, ma soprattutto ho respirato l'atmosfera della gente ecuadorena. Certo, Plaza Grande è la piazza centrale di una capitale di un paese non propriamente piccolo, però nelle sue contraddizioni ho percepito molta semplicità e naturalezza in quello che osservavo. Bambini che si stupiscono ancora per uno spettacolo di marionette. Ragazzi che stanno ad ascoltare un anziano con la chitarra con la moglie che gli improvvisa una pseudo base fatta con un tamburello. Anziani che non aspettano altro che il passare di un ambulante di gelati e che, come me, cercano di trascorrere qualche ora di vita in assoluta spensieratezza. E in questa frenetica tranquillità cerca di emergere, purtroppo, il lato povero della popolazione. Ragazzini lustrascarpe con le mani nere date dai solventi, vecchi che vendono sigarette a 1$, signore che cercano di proporre qualsiasi cosa commestibile ai passanti. Ma vi assicuro, questi saranno i così detti poveri, ma da loro ho visto i sorrisi più belli, sentito le parole più gentili. Per 3 giorni ho mangiato empanadas da una signora di 70 anni con cui ho cercato di comunicare col mio spagnolo stentato e che quando le ho raccontato cosa stavo facendo mi ha dato la sua benedizione baciandomi sulla testa. Sono queste le emozioni a cui sto dando la caccia.
Ma c'è anche il secondo momento di cui volevo parlarvi. Ho intrapreso questo viaggio anche per le meraviglie naturali che queste regioni offrono. Premessa, la natura è bella ovunque, in ogni parte del mondo, anche a 2 km dal mio paese, ma la questione è che ho dovuto viaggiare 10000km lontano da casa per potermi prendere tutto il tempo necessario per goderne appieno. Per me Quito è un po come la porta di questo paradiso. Per farvi capire meglio, sabato ho raggiunto la cima del Rucu Pichincha. 4696m di altitudine. L'ultima volta che ho fatto 2 passi in montagna probabilmente avrò avuto 15 anni e sicuramente trascinato a forza dai miei genitori. Ma porca puttana se ho goduto (scusate il francesismo), il giorno prima ho dovuto abbandonare proprio ai piedi dell'ultimo tratto, causa scarsa visibilità, ma sabato fanculo la nebbia e il freddo, fanculo (continuo a citare i francesi) le bolle ai piedi sono arrivato in cima! Non si vedeva una mazza, ma quello che mi importava era solo l'esserci arrivato. Beh potrò essere scontato ma il raggiungere una cima in montagna è come raggiungere un traguardo nella vita, step by step, un passo alla volta con l'obiettivo ben fisso nella testa. E poi, dopo tanta adrenalina, scendendo, ho deciso di buttarmi su un versante del sentiero da dove potevo vedere la valle sottostante. Ho fissato il vuoto per un'ora. Non mi ricordo nenache bene a quello che pensavo. Probabilmente ho riflettuto un po sulla mia vita. Ma di fronte a quello stavo vedendo erano solo pensieri devianti. Volevo solo gonfiarmi gli occhi di quelle visioni, di nuvole bianche invadere la valle a sud di Quito, di avere la sensazione di poter controllare il sole e l'ombra sulla città come un interruttore, di voltarmi indietro e vedere altre nubi, stavolta nere di pioggia, avvolgere la cima appena conquistata. Vi assicuro che è una sensazione incredibile. Ti senti in pace con l'anima, senti che la natura ti sta dando tutto quello che ha, e te, per riagarla, non puoi far altro che guardare, in silenzio. Bienvenido a America del Sur.
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